top of page
Cerca
  • lastanzadeilibri

§BLOG TOUR§ CERCHIO I: il Limbo e i non battezzati

Buonasera miei lettori, come state? Come sapete l'altro giorno è stato avviato il blog tour dedicato a "Inferno" di Dante Alighieri nell'edizione creata da Mondadori e che vi abbiamo descritto abbondantemente nell'articolo introduttivo (se non l'hai letto clicca qui)

Non è un blog tour come gli altri e siccome a me e alla mia socia Federica non piacciono le cose semplici abbiamo incluso nella nostra pazzia anche altre ragazze che in questi giorni varcheranno insieme a Dante e Virgilio i cerchi dell'Inferno dantesco.


Ieri insieme a Yelena del blog La libreria di Yely abbiamo attraversato la parte iniziale del viaggio di Dante e abbiamo potuto leggere l'approfondimento che la nostra collega ha voluto sviluppare. Oggi di cosa parliamo?


Cerchio I

Dante ha ormai superato la fase iniziale del suo viaggio verso l’Inferno e ad accompagnarlo vi è Virgilio, amico e guida che lo introduce nel primo cerchio. Il poeta lo esorta a seguirlo e dinanzi alla preoccupazione di Dante, gli manifesta la pena che prova per le anime che si trovano in questo cerchio: i non battezzati, coloro che hanno vissuto nella colpa di non essere consacrati in nome di Dio e che, anche se vissuti prima del cristianesimo, non hanno amato Dio.

Tra questi si inserisce anche Virgilio che pur intuendo la venuta del Messia non l’ha amato e per questo vive nel peccato.

Lo scrittore fiorentino si informa su coloro che si trovano nel Limbo e domanda, con fare incuriosito, a Virgilio se qualcuno è mai riuscito ad andare via da lì: la risposta di Virgilio è subito resa nota a Dante.

Cristo dopo la sua morte nel percorso verso il Paradiso, alla destra del Padre, ha liberato e portato con sé alcuni profeti, tra cui Abramo, Abele, Mosè, Noè e molti altri, ma Virgilio non è stato degno di questo onore.


Proseguendo nel percorso verso il secondo cerchio, Dante incontra gli “abitanti” del Limbo; tra questi scorge, con l’aiuto di Virgilio, il grande poeta Omero, Orazio, Ovidio e addirittura Lucano, che lo onorano nel nome della letteratura.

Continuando nel cammino Dante si appresta a incontrare altri volti noti soprattutto del periodo greco-romano: Elettra, Enea, Ettore e ancora Tarquinio il Superbo e altri personaggi illustri. In disparte, come a segnare l’estraneità rispetto agli altri personaggi, si vede Saladino, sultano d’Egitto.

Con immensa gioia incontra il sommo maestro dei sapienti, Aristotele che viene affiancato da Socrate, Platone e altre figure importanti che si sono distinte in vari ambiti, da quello scientifico, letterale ecc…


Dante, insieme a Virgilio, è pronto a lasciare il Limbo e le sue anime che non troveranno mai la loro pace eterna.


Il Limbo: un concetto ancora esistente?


Il termine Limbo deriva dal latino limbus, che significa orlo, bordo e che rappresenta nell’ideologia cristiana uno status di sospensione, di attesa ove vengono ritrovate le anime di coloro che durante la vita terrena non hanno ricevuto il sacramento del Battesimo.

Esposta per la prima volta da Sant’Agostino, la tesi del limbo come contenitore di anime prive di Battesimo, è stata poi compiutamente strutturata come ipotesi da Pietro Lombardo, teologo del XII secolo.


Secondo la religione cattolica il Limbo doveva essere suddiviso in due parti:

- Limbo dei Padri, ove vi sono le anime degli uomini appartenute a persone che non si sono macchiati di altri peccati se non quello dell’essere vissuti prima della morte e resurrezione di Cristo;

- Limbo dei Bambini, ove vi sono i bambini morti senza essere stati liberati dal peccato originale attraverso il Battesimo;


Ma nella concezione contemporanea è ancora ammesso il concetto di “limbo”? Già a partire dal 1984, l’allora cardinale Ratzinger aveva affermato l’inesistenza del limbo come verità di fede e ha relegato questo concetto a un’ipotesi meramente teologica.

Dello stesso parere risulta essere alcuni anni dopo Raniero Cantalamessa e poi questa idea viene ufficializzata nel 2007 dalla Commissione teologica internazionale, che ha visto approvato un suo documento in riguardo da Papa Benedetto XVI ove si afferma che il libro è “una visione eccessivamente restrittiva della salvezza”.


Perché queste anime si trovano nel Limbo?


Come ribadito si tratta di anime che durante la loro vita terrena non hanno ricevuto il sacramento del Battesimo, primo sacramento nella religione cristiana.

Una delle risposte al perché non abbiano ricevuto il sacramento è riconducibile a un semplice ragionamento logico inerente il contesto storico in cui questi personaggi sono vissuti e hanno operato.


La maggior parte di loro è vissuto in un periodo storico precedente alla nascita e affermazione del Cristianesimo: precisamente siamo nell’antica Grecia e, ancora, nell’antica Roma. Ma quale culto religioso si afferma in questi contesti storici affermatasi in una fase precedente alla nascita di Cristo?


… nell’antica Grecia.


Premettiamo che il termine “religione greca” è di connotazione moderna, in quanto non risulta essere insito nella terminologia del periodo. Con l’espressione threskèia si andava a designare quel culto riguardante gli dei e che veniva celebrato in loro onore.

Attraverso la celebrazione degli dei si voleva determinare quell’equilibrio tra uomini e divinità che avrebbe garantito la pace tra le due entità: non celebrare gli dei avrebbe provocato l’ira degli stessi contro gli uomini che si macchiavano di questa colpa.

La “religione greca” può essere concepita come una religione politeista ovvero caratterizzata dalla credenza che non vi sia un solo Dio, ma molteplici divinità a cui erano attribuite diverse forze della natura: il mondo era concepito come popolato da esseri visibili, gli uomini, e non visibili, gli dei, che convivevano in equilibrio tra loro grazie alla relazione delle diverse sfere del Cosmo.

Nella mitologia gli dei venivano collocati nel Monte Olimpo che rappresenta non solo la montagna più elevata della Grecia, ma anche la “casa” delle divinità che venivano venerate dagli uomini e che rappresentavano la loro guida.


Ma come veniva professato questo culto da parte degli antichi Greci? Le principali modalità di relazione tra l’uomo e la divinità avviene attraverso la preghiera, la divinazione e il sacrificio.

La preghiera solitamente veniva esercitata all’interno dei luoghi di culto che venivano frequentati dall’intera comunità e che comunemente erano adibiti a santuario.

Il santuario viene concepito come un luogo sacro, solitamente delimitato rispetto alle zone circostanti attraverso muri o altri ornamenti che ne indicano il confine: questo prende il nome di temenos e viene considerata la “casa” della divinità a cui viene dedicato.

Tale spazio era immune da qualsiasi manifestazione di violenza e solitamente veniva caratterizzato al suo interno da elementi legati alla natura come per esempio un albero o ancora un boschetto sacro. Inoltre al fine di entrare in contatto con le divinità all'interno del santuario era necessario rispettare un insieme di leggi sacre che garantivano all'uomo di essere candido dinanzi alla divinità e che inerivano la purezza, l'onestà e la pietà religiosa.


Alla preghiera all'interno dei templi differisce quella esercitata in forma privata nello spazio domestico, chiamato oikos, che veniva caratterizzato da un focolare protetto dalla divinità a cui ci si rivolge. Il focolare è un elemento centrale per la vita della famiglia; sotto l’autorità paterna vi si svolgono gli atti quotidiani del culto (preghiere, libagioni, sacrifici), ma anche rituali di integrazione di nuovi membri come, per esempio, nascituri, nuovi schiavi... a consacrare l'arrivo di un nuovo membro nel nucleo familiare.


La divinazione, invece, viene considerata la pratica attraverso cui gli uomini interpretano i segni che vengono inviati loro dagli dei e che viene ricavato dalla "lettura" di manifestazioni semplici, come il volo degli uccelli o, ancora, l'esame dei visceri degli animali che venivano sacrificati in nome degli dei. L'interpretazione di questi segni era talmente importante che poteva determinare l'entrata in guerra o la rinuncia a questa, l'esercizio di varie attività ecc... questo determina una manipolazione psicologica negli uomini talmente forte che prescindeva dalla loro volontà.

Alla divinazione si lega la consultazione dell'oracolo, ovvero un luogo ove la divinità offrivano un responso in seguito a un quesito posto da chi si presentava al santuario.


Un'altra pratica fondamentale durante il rito era quello del sacrificio, che poteva determinarsi in vari modi e per diverse ragioni. I sacrifici che prevedevano l'uccisione di un animale prendevano il nome di Thysia e si articolavano di vari elementi che si susseguivano l'uno all'altro, come in un rituale ben orchestrato.

I sacrifici cruenti venivano introdotti da un corteo guidato da una vergine detta kanephoros che reggeva un cesto contenente dei pani, chicchi di cereali e il "coltello sacrificale", che veniva adoperato prima per tagliare un ciuffo di peli dell'animale e poi per sgozzarlo.

L'animale sgozzato e dissanguato veniva macellato sul tavolo e la sua carne fatta a pezzi e bollita in un calderone, tranne le viscere che invece venivano grigliate su lunghi spiedi e consumate insipide.

Tra le interiora "splancniche", grande attenzione viene riservata al fegato che prima dell'arrostimento veniva attentamente esaminato in quanto qui, più che in qualsiasi altro organo della bestia macellata, si può leggere il messaggio inviato dagli dèi agli uomini. Le interiora vengono comunque tutte esaminate seguendo l'ordine di estrazione dal ventre: cuore, polmone, fegato, milza e reni. Successivamente all'estrazione delle viscere viene praticato il disossamento dell'animale per prelevare le ossa, costituite essenzialmente dai femori e dalla colonna vertebrale, che essendo le parti destinate agli dèi vengono bruciate integralmente sull'altare prima dell'arrostimento delle interiora.


Ma quale è il rapporto tra gli antichi greci e la vita dopo la morte?


Se da una parte abbiamo la concezione dantesca di aldilà e la sua discesa insieme a Virgilio negli Inferi, dall'altra ci domandiamo: "Come viene concepita la morte nel culto greco?" e ancora "Vi sono casi analoghi a quello di Dante nella mitologia greca?"


Nell'antica Grecia vi era la concezione secondo cui la morte viene personificata da un'entità maschile che prende il nome di Thànatos, che si differenzia dalle altre divinità per i suoi modi non particolarmente "affabili".

Gli antichi greci sostenevano che la morte fosse il passaggio dalla vita terrena al mondo sotterraneo che risultava riservato ai morti: l'anima lascia il corpo attraverso la bocca e si dirige verso gli Inferi, ovvero il regno dei non viventi.

La morte quindi veniva considerato un semplice passaggio: dalla vita terrena si passava a quella eterna che però, a differenza di quella concepita dallo stesso Dante, non si esprimeva in Inferno o Paradiso, né tantomeno in castighi o premi come conseguenza della condotta tenuta sulla Terra.

Il termine greco κατάβασις (catabăsis) tradotto catabasi, indica la discesa agli Inferi, secondo la concezione greca, di coloro che lo hanno attraversato pur essendo ancora in vita e quindi in una fase precedente alla morte.

Proprio in merito a questo "fenomeno" ci si domanda se vi siano stati, in una fase precedente alla discesa di Dante nell'aldilà, altri "casi" letterari analoghi a questo. Tale quesito merita una piccola analisi che porta ad affermare che già durante l'età greca ci siano stati dei fenomeni simili che rientrano nella mitologia del periodo.


Uno dei primi casi di discesa negli Inferi in ambito letterario è stato descritto da Omero, che lo stesso Dante incontra e ammira da lontano all'interno del Limbo. Il poeta greco nell'IX libro dell'Odissea quando Odisseo (Ulisse) si accinge a entrare nell'Ade: egli scava una fossa e dopo una serie di rituali, vede emergere dall'oscurità le anime dei morti che cerca ti tenere lontane.

Sul ciglio dell'Ade, Odisseo incontra alcuni compagni d’armi che hanno combattuto con lui durante la guerra di Troia; tra i nomi noti abbiamo: Agamennone, Achille, Patroclo, Antiloco e Aiace.

Pur non avendo attraversato l'Ade ed essersi limitato ad avere contatti con le anime che lo "abitano", questa viene considerata la prima espressione di Catabasi nella storia della letteratura.


Vi sono almeno due altri casi nella mitologia greca che vedono la discesa nell'Ade di persone che sono ancora in vita e quindi che percorrono gli Inferi non solo con l'anima, ma anche con il corpo: una è la discesa di Eracle e l'altra di Orfeo.


Quindi possiamo giungere alla conclusione che vi sia una similitudine tra quella che è la discesa di Dante, in compagnia di Virgilio, nell'Inferno e quella che viene fatta, sempre in ambito letterario, da grandi eroi della letteratura greca.


Dante veste i panni di un giudice?


Se pensiamo a Dante e al fatto che abbia collocato le anime nei vari cerchi e li abbia puniti attraverso varie pene a seconda dei loro peccati, ovvero della loro condotta tenuta durante la loro vita terrena, potremo dire che il poeta ha vestito i panni di un giudice.


Lo stesso si può dire delle anime che vengono collocate da Dante nel Limbo: questi non si sono macchiati di nessuna colpa, ma Dante li giudica per qualcosa che non può essere imputato loro, ovvero il fatto di non essere battezzati in nome di Dio.

Quanto la profonda e radicata cristianità di Dante ha inciso nella sua scelta di collocare alcuni personaggi, che lui stesso stima, nel Limbo?


Dante Alighieri è cattolico e lo manifesta egli stesso all'interno della sua opera e precisamente nel canto XXIV del Paradiso ove viene "esaminato" da San Pietro che gli rivolge alcuni quesiti inerenti il suo credo. Dante afferma così in modo chiaro e con risposte articolate alle domande postagli dal Santo proprio credo e, infine, dichiara che egli crede in un solo Dio che muove tutto il Creato con amore e desiderio.

Il Santo si definisce convinto definitivamente quanto il potera sostiene di credere nella Trinità e nelle Sacre Scritture che lo testimoniano: questa è la scintilla che produce in Dante la fiamma della fede, che splende in lui come una stella in cielo.


L'educazione cristiana è insita nel poeta già dalla nascita in quanto appartenente a una famiglia della nobiltà fiorentina che negli anni avvenire lo educa secondo i principi cristiani: questo determinerà in futuro la scelta di Dante di essere parte della fazione dei Guelfi, contrapposti ai Ghibellini.

Come tutti i guelfi, anche Dante sostiene la supremazia pontificia nella lotta tra Impero e Papato per il dominio di Firenze: il Papa è l'unico che può governare in quanto Dio lo ha investito del potere e lo ha reso il tramite per garantire gli ideali di giustizia e correttezza.


La Chiesa, anche contemporanea, non dimenticherà l'appoggio che Dante diede alla lotta tra Impero e Chiesa e lo ricorderà sempre non solo come il Sommo poeta, ma, e soprattutto, come un fedele meritevole di rispetto... ma questa è un'altra storia.


Io vi ringrazio immensamente per aver letto le mie parole e spero che questo articolo vi abbia permesso di ampliare la vostra conoscenza in diversi ambiti. Domani la mia socia Federica vi attende per parlarvi del II Cerchio che vede protagonisti i Lussuriosi.



56 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
Post: Blog2 Post
bottom of page