Miei cari lettori, come sapete in questi giorni si sta svolgendo l'evento per la promozione di "La città di Ottone" scritto da S.A. Chakraborty ed edito Oscar Mondadori, che ringraziamo ancora per averci concesso l'organizzazione di questo Blog tour.
Voglio, inoltre, ringraziare Samanta per aver creato queste grafiche bellissime, realizzate in modo impeccabile.
Se ieri avete potuto conoscere meglio quello che è il simbolo dell'Anello attraverso le parole di Federica, oggi io voglio parlarvi di un argomento che trova risconto all'interno del libro e che personalmente mi interessa particolarmente, soprattutto circa la sua connotazione storica e giuridica.
"QUANTO IL DIVERSO PUO' CREARE TIMORE: RIFERIMENTI AL PASSATO E PRESENTE ATTRAVERSO IL ROMANZO"
Come la diversità, il senso di estraneità si manifesta all'interno di questo romanzo?
All'interno della Città di Ottone, ufficialmente chiamata Daevabad, la società è composta da due categorie, se così vogliamo chiamarli, di abitanti: i Daeva, i cosiddetti purosangue, e gli Shafit, per metà umani e per il restante Daeva, quindi dei "mezzosangue".
In questo contesto si manifesta una notevole disuguaglianza tra i membri di uno stesso territorio: le condizioni di vita degli Shafit, rispetto ai Daeva considerati superiori in quanto puri, sono letteralmente allo stremo.
La vita degli Shafit è considerata priva di valore e questo si manifesta proprio dinanzi a uno dei due protagonisti di questo libro: il principe Ali. Figlio di un uomo tiranno che avvalla questa discriminazione tra Daeva e Shafit, egli cerca di aiutare e ricreare un'antica uguaglianza che con il tempo è stata eclissata da una profonda discriminazione, radicata all'interno del contesto sociale.
Ali è testimone di come gli Shafit vengano mercificati, considerati alla pari di beni oggetto di compravendita, e come le loro condizioni di vita siano nettamente inferiori rispetto ai privilegiati Daeva.
Torturati, affamati e considerati merce, gli Shafit sono privati, durante la loro esistenza, della loro libertà, della loro "umanità".
Riflettendo sulle parole appena scritte e su quella che è la condizione odierna mi sono domandata: Che cosa significa "diversità"? Chi ha deciso quali sono i fattori che rendono una persona diversa da un'altra?
L'art.3 della Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 sostiene che: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese"
Per quale motivo una fonte del diritto come la Costituzione della Repubblica Italiana dovrebbe sancire l'uguaglianza se non dovrebbe esistere neanche il concetto di diversità, di disuguaglianza?
Il concetto di "diversità" è radicato a livello sociale ed è una proiezione mentale che viene determinata dall'uomo: senza questo, il concetto di diversità non esisterebbe.
Se andiamo a ritroso nella storia possiamo citare numerosi e rilevanti esempi ove il concetto di diversità ha determinato non poche conseguenze, soprattutto in senso negativo.
Uno tra questi e andiamo veramente in tempi notevolmente remoti è la persecuzione dei cristiani durante il regno di Diocleziano avvenuta nel 303 d.C. e che ha determinato l'emanazione di numerosi editti ove si sosteneva l'obbligo per chi professasse una religione diversa da quella tradizionale romana di conformarsi ad essa. Una prima diversità è quella ideologica e soprattutto inerente l'ambito religioso: chi decide e chi ha il potere di sostenere che un'ideologia religiosa sia più conforme rispetto ad un'altra?
Un altro esempio, ancora oggi, molto dibattuto soprattutto in ambito giuridico è quello inerente il genere: quali fattori rendono diverso un uomo da una donna e viceversa? Si parla in questo caso di garantire che "situazioni diverse vengano trattate in maniera ragionevolmente diversa, situazioni uguali vengano trattate al pari", secondo quello che in giurisprudenza viene definito principio di ragionevolezza.
Prendiamo in considerazione l'ambito lavorativo: per quale motivo a una donna, rispetto a un uomo, viene concesso di assentarsi dal posto di lavoro durante l'ultimo periodo della gravidanza e nella prima fase di maternità? La differenza è da un punto di vista biologico: la ragione si riversa nel fatto che un uomo biologicamente non può portare avanti una gravidanza, mentre una donna si.
Ci domandiamo: "in questo caso si può parlare di discriminazione di genere?" La risposta è: assolutamente no.
Si affermerebbe una condizione di disuguaglianza e quindi discriminazione qualora a un uomo venga concesso di lavorare e preservare il proprio posto di lavoro, mentre una donna in stato di gravidanza venga posta in condizione di abbandonare il suo ruolo lavorativo.
Ma ora veniamo a quello che forse da un punto di vista storico e mondiale è l'emblema della "disuguaglianza": quella razziale.
Ieri come oggi il colore della pelle, l'etnia, la provenienza determinano, in ambito sociale, il concetto di "diversità".
Se ieri con la politica razziale nella Germania nazista, Adolf Hitler ha affermato la sua teoria della "razza pura" determinando una persecuzione nei confronti degli ebrei, omosessuali, disabili e altre categorie di persone, oggi la situazione non è diversa, soprattutto in alcune parti del mondo.
Vogliamo considerare gli ultimi avvenimenti che si sono manifestati negli Stati Uniti d'America rispetto alla prevaricazione dell'uomo bianco rispetto ad altre etnie, soprattutto quella nera? In queste ultime settimane non si parla d'altro che delle cosiddette "Proteste per George Floyd" che hanno portato a delle vere e proprie rivolte contro uno Stato, quello americano, che pone in secondo piano, prevaricandola, la comunità nera.
Ma questa non è la prima "rivolta" che vede protagonista la comunità nera: ricordiamo il fenomeno dell'apartheid e la lunga lotta per la sua abrogazione da parte di Nelson Mandela, avvenuta con la sua liberazione dalle carceri nel 1990 in Sud Africa.
Un continente come l'Africa a prevalenza di popolazione nera ha visto una politica discriminatoria nei confronti della razza nera: cose da non crederci.
La mia domanda è: "chi determina chi rientra nel concetto di normalità e chi no?" Sono stanca di sentir parlare di razza, di colore della pelle, di normale o anomalo... La diversità non esiste!!! Non esiste un colore della pelle che ci rende migliori, non c'è un orientamento sessuale che ci renda normali o meno, l'amore non ha sesso. Sono una donna bianca eterosessuale ma questo non mi rende né migliore né tanto meno diversa dagli altri....
E tu quando ti guardi allo specchio indipendentemente dal colore della pelle, dalla tua etnia, dalla tua ideologia politica e religiosa, dal tuo orientamento sessuale fatti un sorriso e ripetiti "sono bello cosi come sono".
Spero che questo approfondimento sia stato di vostro gradimento e che vi abbia portato a riflettere su questo concetto.
Io vi aspetto il 16 Giugno con la recensione di questo fantastico romanzo e vi rimando domani all'articolo di Tra le pagine di un libro mi troverai con "Corte in Egitto: templi e ricchezze degli egiziani".
Ricordate che fino al 15 Giugno vi aspettano tantissimi articoli veramente interessanti e che vi condurranno a questo libro in uscita in tutte le librerie il 16 Giugno.
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